La Corte dei Miracoli

Cari Soci,

la nostra associazione negli ultimi tempi viene accusata di aver peggiorato la gestione dei velivoli autocostruiti scaricando sui proprietari un peso burocratico. Come non fossimo consapevoli che pagare hangaraggio e assicurazione senza poter volare sia costoso e antipatico. L’accusa però è assurda, probabilmente c’è chi vorrebbe che il Club Aviazione Popolare diventasse un’agenzia di pratiche aeronautiche e nulla più, quindi occorre ricordare alcuni fatti. Alla pubblicazione del Regolamento basico dell’aviazione, la celebre CE1139/2018, gli ultraleggeri, i velivoli sperimentali e quelli storici, orfani, amatoriali (SOA), sono stati ricompresi nell’Annesso 1 del regolamento, il quale ha dato facoltà e non obbligo alle singole autorità aeronautiche nazionali (NAA), di esercitare l’out-out e gestire questi velivoli a livello nazionale, oppure decidere di lasciarli al loro destino applicandovi i regolamenti comunitari, ovvero le norme “Cs” e, per le produzioni, la complessa “Part-21”, nonché per le manutenzioni la “Part-M”. Stante che ENAC ha esercitato l’out-out e al contempo non intendeva occuparsi dei velivoli “Annex-1” – e già, sarebbero caduti nella rete anche gli ultraleggeri – il CAP aveva due possibilità: diventare Q.E. come previsto dalla norma europea, oppure subire il proprio destino.

 

A quel punto – ma anche oggi – qualsiasi gruppo di professionisti, azienda o associazione avrebbe potuto divenire a sua volta Q.E. con tanto di manuale e procedure approvate da ENAC, ed esercitarne i privilegi associati.

Finora nessuno l’ha voluto fare a parte noi del CAP che rischiavamo l’estinzione, e oggi ci troviamo ad essere l’unica entità qualificata in Italia e la seconda in Europa dopo la LAA inglese.

Una situazione di monopolio indesiderata e scomoda, come abbiamo già dichiarato più volte, poiché costringe il CAP a gestire anche macchine volanti sconosciute al sodalizio in quanto di provenienza “ex gestione ENAC” e al tempo stesso costringe i proprietari di queste a sposare criteri culturali che nella maggioranza dei casi non condividono.

Qualcuno sperava – a torto – che questo passaggio avrebbe fatto prevalere in seno all’associazione il lato commerciale allontanandola dai principi sui quali è stata fondata, ovvero sviluppare cultura aeronautica, conservarla e trasmetterla, cercando di trasformare appassionati piloti in costruttori amatori di aeromobili, che significa conoscere e gestire il proprio aeroplano.

Enac ha controllato i processi proposti dal CAP per divenire Q.E. e richiesto determinate informazioni.

Per esempio, il curriculum aeronautico del candidato costruttore in termini di qualifiche ed esperienze di realizzazione e pilotaggio.

Che naturalmente il CAP è costretto a pretendere da chi si iscrive.

Ma se ci pensiamo un momento, nulla che non sia di buon senso, come avere un programma di prove di volo, una bozza del manuale di pilotaggio e del programma di manutenzione.

La cui redazione costituisce parte del bagaglio di esperienza che fa di un appassionato un vero costruttore. Non è quindi colpa degli IST se vengono richiesti e neppure della Direzione Tecnica del CAP se in mancanza di questi documenti non si può procedere con il rilascio dei permessi di volo.

L’alternativa, l’unica, sarebbe fare del sodalizio una Fondazione e dentro questa della Q.E. un’azienda commerciale.

Potendo quindi assumere e pagare dei professionisti, probabilmente i tempi delle pratiche migliorerebbero, ma poi i costi di gestione lieviterebbero al pari di quelli delle aziende Part-145. Siamo sicuri di volere questo?

Un’altra Q.E, magari in un prossimo futuro, potrà essere di manica più larga, ottenere da ENAC procedure più snelle e aiutare anche il CAP ad alleggerire le incombenze riducendo “la carta” necessaria.

Del resto, è episodio di poche settimane fa – miracolo – che un velivolo ex-CAP sia migrato nel registro olandese tornando al di fuori dell’Annesso 1 e rientrando nel Type Certificate Data Sheet che il suo costruttore mantiene vivo in ambito EASA.

Tutto ciò nonostante una demolizione e successivo profondo intervento di ricostruzione avvenuti come Experimental. Significa che, all’estero, a un professionista è consentito di decidere che un aeroplano, qualsiasi sia stata la sua storia pregressa, è idoneo e conforme ad un TC (Type Certificate) senza che l’autorità di riferimento metta il becco e chieda carte. A questo punto ci chiediamo: perché a noi invece, vengono fatte le pulci?

ENAC, quale delegata di EASA, dovrebbe in realtà occuparsene in ambito europeo (visto che per le questioni di “safety” vuole comunque anteporre sempre la tracciabilità delle operazioni ad altre valutazioni prettamente tecniche) e chiarire una volta per tutte se sia possibile, oppure no, farlo anche in Italia.

Magari presso una Part-145. E anche dirci se un cittadino italiano possa o meno possedere un velivolo registrato in altro stato dell’Unione europea senza doverlo nazionalizzare entro qualche mese e senza dover tornare saltuariamente all’estero, come invece prevederebbe la norma che ENAC stessa si è data. O in Olanda c’è una Corte dei Miracoli, oppure qualcuno interpreta le norme in modo a volte fantasioso, altre radicale.

Com’era quel detto? Ai nemici la legge si applica, agli amici si interpreta…

Sergio Barlocchetti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Post comment